TIMETALES, 2007 edition of PREZIOSA.

Pubblichiamo alcuni testi scritti da Maria Cristina Bergesio nel corso degli anni e destinati ai cataloghi delle mostre organizzate da LAO per l’evento PREZIOSA e FLORENCE JEWELLERY WEEK. La scuola vuole omaggiare il lavoro rigoroso e attento che Maria Cristina ha saputo portare avanti con la passione che l’ha sempre distinta.

Tutti i testi sono protetti da copyright

El instante

¿Dónde estarán los siglos, dónde el sueño
De espadas que los tártaros soñaron,
Dónde los fuertes muros que allanaron,
Dónde el Árbol de Adán y el otro Leño?
El presente está solo. La memoria
Erige el tiempo.

Jorge Luis Borges

Il destino di molti gioielli preziosi, fino all’inoltrato XIX secolo, era segnato dal costume dello smontaggio, il recupero delle pietre e del metallo per la realizzazione di altri monili in sintonia con lo stile in auge. L’interruzione di quest’abitudine è dovuta ad una maggiore disponibilità dei materiali preziosi, così da convincere i proprietari a risparmiare il gioiello ereditato, iniziando a conservarlo e tramandarlo alle generazioni future, come ricordo, testimonianza della storia della famiglia. L’aspirazione all’eternità, il mito del “gioiello senza tempo”, del “gioiello per sempre” sono concetti relativamente recenti[1], che impostano il loro messaggio sulla traslazione della preziosità, rarità dei materiali al legame che consacrano, all’evento che sanciscono. Nella sua lunga storia il gioiello come oggetto è pensato e realizzato in un dato tempo, in una certa epoca, respirandone l’atmosfera e ricevendone un’impronta peculiare. Il gioiello come forma di ricerca artistica calca, accentua la sua connotazione temporale, si propone come oggetto che materializza pensieri, riflessioni, provocazioni, stati d’animo, espressione quindi di una determinata personalità artistica, della sua percezione dello Zeitgeist.

Timetales, raccontare il tempo, anzi i tempi percepiti e tradotti in oggetti per il corpo da dodici artisti-orafi di fama internazionale, è il tema intorno al quale si sviluppa la terza edizione della rassegna Lucca Preziosa. Filo conduttore dell’esposizione è la funzione mnemonica del gioiello, che registra nell’oggi, nella cultura del presente, l’avvicendarsi di stimoli del passato (Ricordi del passato), di esperienze vissute (Memorie private), di multiformi segni di una realtà sfaccettata (Tracce del presente).

 

La Memoria es un escribano que vive dentro el hombre.

Juan de Aranda, 1613

 

Ricordi del passato

Sguardi rivolti al passato sono all’origine del processo creativo che ha portato alla realizzazione dei gioielli presentati in questa sezione. Non si tratta di un unico passato ma diversi passati sono i protagonisti di questi gioielli che rimandano a momenti legati alla storia dell’arte visiva, delle arti decorative fino ad una dimensione al di fuori della storia, immaginaria e mitica. Un sentimento nostalgico, un desiderio di confronto, un gioco di citazioni, evocazioni, reminiscenze vanno a costituire il tessuto connettivo di opere, nelle quali è possibile riscontrare molteplici accezioni al concetto di patrimonio ereditato dal passato, da tutto ciò che stà alle nostre spalle, e che è arrivato a noi.

 

Poetica del frammento

Tante sono le cose dalle quali può scaturire un progetto creativo, anche da un sentimento misto di nostalgia, una Sehnsucht per un’epoca passata, che continua ad esercitare un fascino per la magnificenza e raffinatezza dei suoi decori e della sua arte. La decorazione musiva di S. Marco a Venezia, fusione di oriente e occidente, le multicolori murrine hanno esercitato una vera e propria malia su un giovane orafo, stimolando il suo percorso creativo. Stefano Marchetti ha quindi studiato e sperimentato nuove possibilità esecutive per due tecniche tradizionali dell’oreficeria giapponese Mokumé Gane e la variante Mokumé Parquetry, con le quali ha cercato di trasfondere l’effetto policromo di mosaici e murrine attraverso l’associazione di metalli e leghe diverse. 

Nelle opere dei primi anni ’90 singoli elementi di vari metalli e leghe di oro, argento, rame, shibuichi, e di forma triangolare, quadrangolare, circolare, sono saldati a formare una trama metallica. Il suo contorno interrotto, spezzato, lo sviluppo asimmetrico, le conferisce l’aspetto di un frammento, un prezioso reperto che si è salvato, sfuggendo miracolosamente alle ingiurie del tempo, ad una perdita irreparabile. Nel corso degli anni i frammenti acquistano gradualmente una strutturazione tridimensionale, ad evocare resti di fantasiose costruzioni, sezioni di mura merlate. Un sentimento di rispettosa cura, che sfiora la sacralizzazione, si può cogliere nella spilla del 2007, nel quale il prezioso reperto viene sistemato in una struttura espositiva, quasi un reliquario laico per uno struggente portavoce di un passato sontuoso, ineguagliabile, per noi esperibile solo come scheggia, frammento.

“In un istante che emerge isolato,/senza prima né poi, contro l’oblio,

Ed ha il sapore di ciò ch’è perduto,/Di quanto è stato perso e ritrovato.”[2]

 

Specchiarsi nel passato

Chiarezza formale, senso delle proporzioni, minimalismo, geometria, architettura, sono le parole chiave intorno alle quali si è svliluppata l’opera di Giampaolo Babetto, maestro della Scuola di Padova. Intorno al 1989, l’impianto essenzialmente geometrico del suo linguaggio, viene temporaneamente abbandonato e la figurazione entra in scena in una serie di gioielli ispirati agli affreschi del pittore manierista fiorentino, Jacopo Carrucci, detto il Pontormo. “Folgorato” è l’aggettivo che Babetto ha utilizzato per descrivere l’effetto che le opere del Pontormo esercitarano su di lui la prima volta che le vide. Un impatto psicologico forte ha quindi innescato nell’artista non un semplice meccanismo di citazione, ma ha stimolato un vero e proprio studio, un’attenta analisi delle opere del maestro manierista. Si è acceso il desiderio di penetrare l’opera, che viene smontata, focalizzando alcuni dettagli, una figura, un gesto, una postura, un elemento archiettonico oppure vegetale. L’opera del passato viene sottoposta ad un processo di astrazione, sintesi, che conduce ad opere contraddistinte da una loro autonomia compositiva, pervase da una tensione formale nell’intento di trasfondere nel gioiello le peculiarità spaziali e cromatiche degli affreschi. 

Un confronto, una sfida, un incontro ricco di impulsi appare il rapporto Pontormo–Babetto, e dopo un’iniziale disorientamento prodotto dalla diversità degli approcci (anticlassico-classico) ad una più approfondita valutazione, emerge un elemento presente nell’intimo di queste due personalità: la passione per la sperimentazione. “La bizzara stravaganza di quel cervello di niuna cosa si contentava giammai” afferma Vasari a proposito del Pontormo. Si può quindi presumere che Babetto abbia ravvisato una consonanza nel comune spirito di ricerca, come attesta quest’analisi di Germano Celant:“Il suo procedere è finalizzato a una nuova germinazione. Quella di un effetto di instabilità per cui ogni gioiello si apre ad una serie intercambiabile di proprietà quanto ad una serie infinita di possibilità di travestimento, di spostamento e di simulazione, una maschera in perpetuum mobile: la metamorfosi continua”.[3]

 

Déja vu? Eclettismo contemporaneo.

Fonte d’ispirazione per i gioielli di Vera Siemund sono le arti decorative in particolare del XIX secolo, il secolo detto senza stile, summa ed intreccio di citazioni stilistiche passate che assursero a regola creativa assoluta. Nel suo approccio si può quindi rilevare uno degli elementi peculiari della postmodernità, la rielaborazione di elementi del passato, che vengono ad essere intrecciati, interconnessi con uno spirito critico, che evidentemente sceglie, seleziona, vaglia e ricompone un’ampia serie di dettagli architettonici, patterns e fantasie di tessuti, caratteristiche stilistiche di gioielli di varie epoche. Motivi tratti da velluti del ‘600 sono usati come moduli per costruire una fastosa collana in ferro, materiale chiave di un certo tipo di gioielleria ottocentesca, in particolare tedesca. Rame stampato e smaltato secondo un procedimento di tipo industriale è impiegato in collane che richiamano la tipologia della rivière combinandola con un pattern decorativo di tessuti a pois con colori vivaci. 

Il linguaggio di Vera  Siemund non intende imitare, riprodurre i fasti del passato, ma appare come un divertente e divertito tributo al tempo che fu. L’ornamento si delinea come un gioco basato sul potere e fascino dell’associazione, dei rimandi, della citazione in un percorso di specchi nel quale convivono pacificamente quelli che un tempo erano vissuto come paradigmi di realtà inconciliabili. Nella spilla a forma di anfora, infatti, il classicismo della forma viene ad essere associato ad una decorazione floreale di ispirazione romantica. Nei gioielli della Siemund è possibile riscontrare un leit-motiv del sentire contemporaneo, per il quale l’idea di nuovo non può più essere quella passata, univoca, unidirezionale, ma scaturisce dal confronto con  una pluralità di stili, di codici, di coesistenze e sovrapposizioni, dove confluiscono i ricordi, le tracce del passato. Quello che emerge è un meccanismo che ci fa sentire oggi più consapevoli eredi del passato, non più percepito come un pesante fardello di regole, canoni, ma come un bagaglio, uno strumento per formare la nostra identità, soprattutto di fronte ad un futuro sempre più incerto, inafferrabile e difficile da immaginare.[4]

 

Il racconto dell’isola sconosciuta

“L’isola sconosciuta, ripeté l’uomo, Sciocchezze, isole sconosciute non ce ne sono più, Chi ve l’ha detto, re, che isole sconosciute non ce ne sono più, Sono tutte sulle carte, Sulle carte geografiche ci sono solo le isole conosciute, E qual è quest’isola sconosciuta di cui volete andare in cerca, Se ve lo potessi dire non sarebbe più sconosciuta”.[5]

Diari di bordo di un esploratore errante appaiono le spille di Ramón Puig Cuyàs. “Impresiones de la Atlántida” e “Notas de un quaderno de viaje” sono due serie di lavori incentrati sull’azione del ricordo, della narrazione per immagini di una storia, di un passato nella sua dimensione mitica, leggendaria e intima. Nelle spille in rame e argento nichelato, un’aura di antichità rievoca con maggior forza il mito dell’isola felice, luogo inviolato, la cui realtà storica non è stato possibile provare, accertare, rimanendo sempre sospesa, presente e reale in una dimensione simbolica e immaginaria. Un’estetica totalmente diversa si riscontra nell’altra serie, dove la composizione è nitida, contraddistinta da un ordine rigoroso nel quale ogni elemento ha un suo determinato posto che assolve una specifica funzione in relazione all’insieme dell’oggetto. L’assemblaggio di vari materiali, disegni, frammenti di conchiglie, legni, ossa, danno alle spille un aspetto di strumenti di misurazione, congegni sofisticati, che attraverso l’impostazione dei vari elementi in un certo ordine, vanno a costituire un testo iconico, resoconto visivo di suggestioni, proponendo all’osservatore una narrazione aperta. Alcune spille hanno proprio l’aspetto di una mappa, con un tracciato di segni che in mancanza di una legenda, accentuano il loro significato di stimolo ad intraprendere un proprio percorso immaginativo, verso ciò che desideriamo, il luogo magico che pensavamo di scoprire da piccoli, la nostra isola sconosciuta.[6]

 

Show Me Eternity
And I will show you Memory

Emily Dickinson, 1884

 

Memorie private

I gioielli della seconda sezione ci accompagnano nell’esplorazione di un tempo soggettivo, in una dimensione psicologica individuale, nella quale la memoria assume la funzione di costruttrice dell’identità e la creazione si esplica come atto narrativo. Un coro di artiste donne testimonia la prerogativa del femminile, più attento e  sensibile al conferire molta importanza alla continuità delle generazioni, alla conservazione e trasmissione dei ricordi, al tramandare. Memorie del vissuto animano queste creazioni, nelle quali si dispiega una fitta rete di fluide associazioni attraverso un interagire di immagini, visioni, esperienze, sensazioni, affetti, tradizioni.

 

Emotional landscapes

I gioielli di Eija Mustonen sono profondamente legati all’ambiente naturale del suo paese, la Finlandia. La bellezza, la rarità e unicità, associati nel gioiello tradizionale ai materiali preziosi, sono stati traslati e attribuiti al paesaggio naturale, in particolare al lago così presente nel territorio finlandese. La forma del lago viene rappresentata in una serie di spille nella quali l’argento ossidato è associato a materiali morbidi, stoffe, ritagli di seta, di lino. Inoltre sul metallo oppure sulla stoffa appare spesso un ricamo di filo rosso, che mette in evidenza il  contorno della forma oppure traccia un elemento grafico, una mappa, un percorso. Specifici luoghi geografici (il titolo spesso è il nome finlandese del lago), rimandano ai luoghi dell’infanzia, nell’intimo percepiti come i “regni” dell’anima, ciò che si percepisce e si intende per “casa”. A tutto questo si aggiunga che la loro destinazione finale offre la possibilità di portarli sempre con sé, come le cose che si amano di più. 

Nei lavori più recenti la tematica del rapporto con l’ambiente naturale rimane al centro del suo interesse con un cambiamento di prospettiva. Dalla visione più ampia, descrittiva di un luogo con la sua estensione territoriale, la sua sagoma peculiare e riconoscibile, registrate come da una foto dall’alto, si passa ad un deciso zumare su alcuni dettagli. Il gioiello registra le suggestioni suscitate da un’oscura foresta, rappresenta il fluire, il lento espandersi di una sostanza liquida, oppure la lievità del fenomeno atmosferico della neve. Sensazioni fisiche, termiche, tattili si sommano nei suoi lavori che esprimono un’autentica ammirazione per la preziosità e unicità della natura.

“Emotional landscapes,/They puzzle me,/Then the riddle gets solved,/And you push me up to this/State of emergency,/How beautiful to be,/State of emergency,/Is where I want to be.”[7]

 

In verità tutte le cose piccole sono belle[8]

Le opere di Mari Ishikawa sono inscindibili dalla storia, dalla tradizione culturale del suo paese, parte integrante della sua identità. Shintoismo, buddismo, l’arte del kimono, la cerimonia del tè, costituiscono un’eredità culturale, che diventa fonte di ispirazione interiorizzata, che scaturisce e rivive nelle sue opere permeate di un determinato spirito. Una sedimentazione attiva, propulsiva che da vita ad una creazione che elabora un linguaggio denso di rimandi e riferimenti. La tradizione è come la materia costituiva, la sostanza del suo mondo creativo, che fluisce come un fiume interiore, un flusso di pensieri, immagini, emozioni. Nei lavori “En” e “Musubi”, parole che significano relazione, la tradizionale carta di gelso, rafforzata con uno strato di lacca giapponese, concretizza un’immagine molto popolare in Giappone, per la quale due persone innamorate sono collegate da un filo rosso. 

Nei gioielli legati al tema della natura lo spirito orientale si evidenzia nello sguardo che coglie gli elementi più minuti, la sua autonomia sorprendente, non controllata dall’uomo, riconosciuta nella sua sacralità. Per lo shintoismo la natura è sacra in quanto espressione del divino, riuscire a mantenere un contatto con essa comporta il raggiungimento della completezza e della felicità, da essa deriva l’equilibrio della vita. La capacità di vedere e avvicinarsi alla natura è emersa con più forza nell’artista che vive da molti anni in Occidente, la lontananza ha riacceso questa percettibilità, che permea le sue opere. Nell’incanto suscitato dallo spettacolo naturale, vissuto nei suoi più piccoli, intimi anfratti, nelle forme dei rami, nel viluppo di un germoglio, nell’emergere di una delicata infiorescenza, si concretizza tutta la poesia di un sentire la natura come entità viva, palpitante, perpetua nell’avvicendarsi ciclico di nascita, crescita, sviluppo, nello sfiorire, dissecarsi e morire.

 

Metafore “aperte”

Passati, ricordi, credenze, riferimenti storici, antropologici, riflessioni teoriche, giochi di parole, sono la materia prima degli oggetti che si relazionano con il corpo di Jivan Astfalck. Gioiello inteso non come manufatto conchiuso nella realtà univoca di un dato assemblaggio di materiali, ma come discorso sull’oggetto, metafora concettuale con la quale offrire nuove possibilità interpretative della realtà, tenendo presente la complessità e molteplicità dei possibili significati. Gioielli-installazioni, insiemi di oggetti narrativi, testi da leggere, storie nelle quali elementi autobiografici sono intrecciati alla pura immaginazione, al romanzesco, alla teoria critica. Ambivalenza fra la bellezza e la morte,  riferimento al trofeo, credenza arcaica dell’appropriarsi delle magiche virtù degli animali (On Memory and Loos-ChickBones), ferite del tempo e desiderio di redenzione (Bandages for Broken Hearts), recupero della funzione sentimentale e mnemonica dell’ornamento (remember you..), transitorietà delle cose terrene, trasformazione e metamorfosi costante della materia (Vanitas-A Mediation of Beauty and Decay); fiori selvatici, simboli del legame con un territorio (Wiesenblumen), farfalle-fantasmi riferimento ad una tradizione giapponese che identifica nell’insetto l’anima del defunto venuta ad annunciare la sua dipartita del corpo (Ghosts), questi alcuni dei temi intorno ai quali l’artista ha costruito le sue opere[9]. Installazioni, luoghi di memoria, spazi di riflessione, opere aperte.

“L’autore di solito non ignora questa condizione della situazionalità di ogni fruizione, ma produce l’opera come apertura a queste possibilità, apertura che tuttavia orienti le possibilità medesime nel senso di provocarle come risposte differenti ma consone ad uno stimolo in sé definito. Il salvare questa dialettica di definitezza e apertura ci pare essenziale ad una nozione di arte come fatto comunicativo e dialogo interpersonale”[10].

 

Album di famiglia

“Le fotografie di famiglia che si trasmettono di generazione in generazione costituiscono il succedaneo a tutti accessibile di quel capitale di beni preziosi, archivi, gioielli, ritratti di famiglia, che devono il loro carattere sacro al fatto che, testimoniando concretamente l’antichità e la continuità della stirpe, consacrano la sua identità sociale, sempre indissociabile dalla permanenza del tempo.”[11]

“A caretaker of memories” si definisce Mah Rana, una custode, una vestale delle memorie. Il suo interesse per il gioiello scaturisce maggiormente dalle storie che si intessono intorno ad un oggetto che può essere considerato un accumulatore di memorie. Nel suo lavoro si avvicendano significati e funzioni del gioiello legate soprattutto alla sfera sentimentale, emozionale e del tutto biografica. In Out Of Dark, spille da lutto contemporanee, l’elaborazione della perdita viene espressa attraverso una graduale cancellazione dello strato grigio di pigmento, che consumandosi riporterà alla luce la luminosità dell’oro. In Toknot uno specifico ricordo dell’infanzia viene richiamato, trasfuso e rivissuto attraverso l’oggetto, che ha il potere di far rivivere quel dato momento con i suoni, gli odori, ma anche i sentimenti e le emozioni provate. 

La sua indagine sul rapporto fra gioiello e storia personale l’ha portata a sviluppare il progetto di ricerca Meaninigs and attachments con un approccio dal sapore sociologico, realizzato attraverso ritratti fotografici di centinaia di persone, raccogliendo anche le loro testimonianze scritte, le storie dei gioielli che indossavano. L’uso della fotografia è uno strumento per eccellenza per fissare il ricordo, solennizzando un momento sottratto alla fuga del tempo e all’oblio. Nel suo ultimo lavoro An Individual and Collective Journey l’artista scava nel passato della sua famiglia, ricostruendo l’albero genealogico e intrecciando la storia vera con gioielli fittizi. Una oncia d’oro a 24 k sarà usata per creare un determinato gioiello legato ad un suo antenato, come fosse stato da lei ereditato. Un autoritratto segnerà questa tappa, poi l’oro sarà rifuso e un altro gioiello sarà realizzato con uno stile diverso collegato ad un altro membro della sua storia familiare. Calarsi nello studio genealogico comporta entrare in contatto con le proprie radici, ma anche rendersi conto di aver perso irrimediabilmente qualcosa, vicende, dettagli di circostanze, che sono per noi oggi non più rintracciabili.[12]

 

This mess we are in.

 P.J. Harvey, 2000

 

Tracce del presente

Postmoderno, post-human, crisi della ragione, secolo breve, pensiero debole, società trasparente, fine della modernità, modernità liquida, sono alcune delle definizioni assegnate alla nostra epoca. Un’epoca contraddistinta da confini sfumati, da uno spirito mutevole, accelerato, simultaneo, composito, globale, locale, contraddittorio. I gioielli di questa sezione non cercano di offrire un panorama completo di tutto questo pulsante magma, ma si presentano come autonome tessere nelle quali si riflettono alcune delle vibrazioni dissonanti del nostro presente.

 

Il sublime tecnologico

Il dibattito attuale sulle potenzialità, sui nuovi scenari e confini della genetica, dell’informatica, delle biotecnologie e delle nanotecnologie, ha interessato e stimolato la ricerca di Katja Prins. Da un’iniziale poetica ricerca di un connubio fra le morbide organiche sensuali forme di enigmatici bozzoli in seta e elementi tubolari, quasi arterie metalliche (Cocoons, 2001), si passa al linkage fra argento e porcellana in gioielli che appaiono come strumenti e apparati medici, tubicini, piccoli contenitori (“Inventarium”) a volte con codici stampati sulla superficie. Si arriva poi alla rigorosa, perfetta estetica della serie “Machines are us” nella quale la plastica grigia esalta il tecnological looking di questi ornamenti per il corpo, dove il ricordo del razionalismo modernista si mescola alla fascinazione per la perfezione netta e pulita di apparecchiature. Si attesta l’affiorare di un percettibile ambiguo senso del sublime di fronte ad un’incalzante, inarrestabile tecnologizzazione della nostra realtà quotidiana, nella quale apparati tecnologici sempre più sofisticati conquistano, si direbbe palmo a palmo, il nostro corpo, accessori sempre più onnipresenti, che modificano anche il nostro ambiente naturale con una sua sempre maggiore manipolazione, alterazione, trasformazione transgenica. Aspetto questo testimoniato dalla collezione “Flowers”, raffinati ibridi nei quali un ricordo di forme vegetali è coniugato a parti di derivazione meccanica. Il nostro paesaggio quotidiano è sempre più colonizzato da apparecchi sofisticati, che se da una parte agiscono su di noi con una sbalorditiva fascinazione per il loro appeal accattivante e seduttivo, legato alla loro perfezione formale, sono al contempo portatori di una perturbante ipotesi connessa ad una nostra ipotizzabile metamorfosi, alla loro conquista totale, assoluta del nostro corpo. Do androids dream of electric sheep?

 

Sigillare il tempo

“Vedere chiaro è vedere nero”. Paul Valéry

Perturbante, inquietante, oscuro, misterioso, notturno, criptico, ermetico, decadente, melanconico, sfuggente ad unica catalogazione si presenta il lavoro di Tanel Veenre. Dai gioielli dell’artista estone si effonde una luce incerta, smorzata, una visione fosca, un’atmosfera funerea e crepuscolare. Una penombra popolata di presenze pervade le opere nelle quali l’organico si mescola all’inorganico, dove materiali di varia origine scelti e inseriti in contesti inediti sono caricati di riferimenti simbolici, mitologici, offrendo un denso viluppo di molteplici interpretazioni, suggestioni, evocazioni. 

Una studiata regia emerge nella selezione e associazione dei distinti materiali, tra i quali  spicca l’ippocampo quasi un vero personaggio connotato a volte da un accento nostalgico e romantico, Princess, altre da un’espressione più oscura ed inquietante, Horse with black dress. La resina acrilica, molto impiegata dall’artista, non è un semplice elemento della composizione, ma assume un ruolo attivo, atto di conservazione di cioè che è sfuggente, una realtà sempre più accelerata, scagliata in una corsa affannosa, proiettata in avanti, tentativo di preservare, trattenere, sigillare ciò che è fugace, lasciare un’eredità, una memoria fossile dell’oggi. La resina crea lo strato più esterno che permette di vedere i molteplici elementi che compongono l’oggetto a testimonianza della stratificazione della realtà contingente.

“(..) chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili.”[13]

 

La politica del trash

“È l’uso delle scorie sintomo di diserzione sociale da ogni sociale regola, da buone abitudini e buona coscienza?”[14]

I rifiuti sono la materia del nostro mondo contemporaneo, sono lo specchio delle nostre abitudini, testimonianza di quello che abbiamo consumato, di quello che ci ha soddisfatti, di ciò che ha appagato bisogni più o meno primari. Il gesto inverso al nostro quotidiano gettare, eliminare, è riammettere, recuperare, reinserire nella nostra realtà qualcosa che al contrario per la legge del consumo era stato destinato a scomparire. Si aggiunga che l’azione in questione è diretta alla creazione di gioielli, oggetti da indossare. Come possono rifiuti, scarti, immondizia, roba di nessun valore essere usati per ciò che dovrebbe abbellire, decorare, completare un abito, un elegante completo? A partire dalla fine degli anni ’70, con un ésprit decisamente punk, Bernard Schobinger, ha inserito nei suoi gioielli rifiuti, combinandoli e componendoli così da ottenere oggetti comunicatori di un pensiero, una riflessione sulla nostra società contemporanea. 

Provocare, disorientare, scandalizzare, cambiare le regole, sovvertire i canoni, l’artista svizzero, erede del movimento Dada, concepisce il gioiello come azione politica, commento sulla vita pubblica e sociale. Nella selezione e combinazione dei materiali si evidenzia uno spirito pungente che svela i meccanismi della convenzione con ponderati giochi di connessioni semantiche: lo spazzolino consumato, ormai da buttare viene fuso in argento per salvaguardare la sua esistenza come oggetto da museo; materiali archeologici associati ad altri industriali in insiemi che faranno impazzire gli studiosi futuri; colli spezzati di bottiglie di vetro rinvenuti casualmente nel luogo occupato da un hotel di lusso. Tutti i materiali impiegati sono legati ad una storia, sono storie che vengono sceneggiate e riproposte all’osservatore come proposte di riflessioni sul nostro tempo, per una presa di coscienza maggiore del nostro essere qui e ora.

 

Chi è l’autore?

“L’autore di immagini postmoderne è più un animatore che un creatore.(…) Il suo essere autore consiste soprattutto nel mettere in moto un processo che non mira a oggettivarsi in una forma realizzata, ma scorre in modo libero, imprevedibile, rimanendo sempre incompleto, aperto.”[15]

Spille realizzate con parti della carrozzeria della Mercedes-Benz, anelli con la  riproduzione dei must del design contemporaneo, valigetta con attrezzi di un orafo in pensione, elementi per costruire una spilla oppure un anello costituito da più anelli per avere un anello per tutti i giorni, brand-covers. Dall’elenco sovracitato è possibile evidenziare alcune idee basilari dei gioielli-evento di Ted Noten: la ricerca sul quotidiano, sulla realtà che ci circonda e soprattutto sulla nostra reazione, sul feed-back, sul meccanismo di riconoscimento e valorizzazione. Alcune opere tematizzano ossessioni contemporanee, il culto della merce, le merci di culto, l’ossessione per il brand, la merce come rappresentazione, le icone quotidiane. In altre il coinvolgimento diretto del fruitore diventa il tema centrale: in Chew your own brooch, si attesta il caso esemplare della partecipazione diretta, il lavoro si incentra maggiormente sul fare piuttosto che sulla personalità dell’autore, si assiste ad una sorta di passaggio di testimone, di un essere “al servizio di”, evidenziando così una critica alla funzione autoriale nel gioiello contemporaneo. Le opere di Noten si pongono maggiormente come “accadimenti”, l’oggetto dato si apre ad uno spettro di possibilità lasciate aperte al fruitore, si infrangono i confini tradizionali fra l’artista e il pubblico, coinvolgendolo in una revisione ed interpretazione delle sue azioni, delle sue scelte fino a renderlo responsabile della connotazione finale dell’opera. Davanti alla perdita di schemi, regole, canoni, l’artista non riveste più il ruolo di “creatore” di un sistema di riferimento assoluto, ma si incarica di stimolare lo spettatore a prendere parte al processo di comprensione della realtà attuale.

[1] “A diamond is forever”, la campagna pubblicitaria lanciata dalla De Beers nel 1948.

[2] Borges Luis Jorge, El tango, in “Tutte le opere”, a cura di Domenico Porzio, Arnaldo Mondadori, Milano, vol.II, p.73

[3] Celant Germano, Giampaolo Babetto, Skira, Milano, 1996, p.15

[4] Cfr.Greenbaum Toni, An Argument for Ornament. The Jewelry of Vera Siemund, in “Metalsmith”, Fall 2005

[5] Saramago José, Il racconto dell’isola sconosciuta, Einaudi, Torino, p.8

[6] Cfr. Puig Cuyas Ramon, The magnitude of the little dimension, testo della conferenza tenuta SNAG, Chicago, maggio 2006 e Nómadas de la memoria. El viaje como metáfora del deseo, testo per la mostra tenutasi a Barcellona, Escuela Massana, maggio 2003

[7] Bjork, Joga, Post, 1995

[8] Haiku di Sei Shōnagon

[9] Cfr. Astfalck Jivan, Narrabesques, Three stories about my thoughts on beauty and such things…, testi forniti dall’artista

[10] Eco Umberto, Il problema dell’opera aperta, in “La definizione dell’arte”, Garzanti, Milano, 1978, p.163-164

[11] Bourdieu Pierre, Usi e funzioni sociali di un’arte media, a cura di, Guaraldi, Rimini, 1972, p.70

[12]Cfr. Casely-Hayford Augustus, Mah Rana: Inconvenient Truths, articolo in fase di pubblicazione, 2006

[13] Calvino Italo, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti, Milano, 1989, p.120

[14] Vergine Lea, Trash. Quando i rifiuti diventano arte, a cura di, catalogo della mostra di Trento e Rovereto, Electa, Milano, 1997, p.22

[15] Jamroziak Anna, cit. in Bauman Zygmunt, Il disagio della postmodernità, Bruno Mondatori, Milano, 2002, p.118

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